Tatuaggio Artistico
Considerato “la moda delle mode” ai nostri giorni, al pari d’accessori, scarpe e gioielleria; il tatuaggio, praticato con modo e significati differenti nei tempi e nei luoghi, ha radici molto remote. Usato per modificare il proprio corpo e renderlo più attraente è, infatti, una delle pratiche umane più antiche. Sin dalla preistoria l’uomo era portato a lasciare dei segni, delle tracce, sull’ambiente circostante e, in particolare, a decorare i luoghi a lui familiari per renderli più intimi e personali. Secondo Lévi Strauss, il famoso antropologo francese, la prima superficie che l’uomo ha sentito l’impulso di abbellire sarebbe quella del proprio corpo come mezzo di comunicazione con il mondo esterno e la pelle intesa come involucro della propria persona. A conferma di ciò vi è il ritrovamento di: pietre, denti di squalo, spine, colorazioni vegetali e d’utensili d’epoca preistorica, che si pensa fossero utilizzati a tale scopo, e di corpi mummificati rinvenuti in varie parti del mondo che portano evidenti segni di tatuaggi.
Dal punto di vista etimologico esistono due possibili origini del termine “tatuaggio”. Secondo alcuni deriverebbe dal vocabolo tahitiano “tatau”, traducibile con “marcare con segni”, “scrivere sul corpo”, riportato dall’esploratore James Cook con i primi viaggi nei mari del Sud alla fine dell 1700 e trasformato poi in inglese “tattoo”. Secondo altri sarebbe una parola onomatopeica, derivante dal suono “Tau Tau” prodotto dal martelletto usato dai maestri tatuatori giapponesi.
Inizialmente con il termine “tatuaggio” s’intendeva sia la deposizione sottocutanea di pigmenti ottenuta con spine di pesce, ossa aguzze, denti d’animali e inchiostri vegetali, sia la pratica, diffusa presso popolazioni molto pigmentate, della scarificazione che consisteva in cicatrici ornamentali o “cheloidi” ottenute mediante la guarigione di profonde ferite tramite cicatrizzazione. Molto diffusa, soprattutto nel Nord dell’Africa, dove fu importata dagli Arabi, era poi la pratica del tatuaggio terapeutico, che consisteva nell’iniettare sotto pelle sostanze medicamentose.
Le motivazioni che hanno portato le popolazioni a tatuarsi sono molteplici: la religione, la casta, le cerimonie, le motivazioni propiziatorie di caccia e guerra, la comunicazione per mezzo di simboli, disegni e motivi.
Il tatuaggio era dunque un motivo di riconoscimento tra le tribù, un rito di passaggio all’età adulta, una sorta di rituale, oltre che uno strumento d’abbellimento del corpo. Fu in Europa che, contrariamente ad altre culture e società, il tatuaggio assunse per lo più una connotazione negativa di condanna e d’esclusione. Era così tra i Greci ed i Romani, che se ne servivano per marchiare indelebilmente gli appartenenti ad alcune categorie sociali come schiavi, prigionieri, disertori o stranieri. Presso i Cristiani assurse a simbolo di fede, finché il Papa Adriano ne proibì la pratica. Tale condanna ne determinò la scomparsa dall’Europa fino al periodo delle grandi esplorazioni geografiche fino al secolo XVIII°: il fascino dell’esotico tra i ceti più elevati riportò in auge il tatuaggio e fece attribuire ai tatuatori, qualità artistiche.
Poi ancora una volta il destino del tatuaggio mutò: nel ‘900 tatuarsi divenne comune soprattutto tra le persone dedite ad una “vita spericolata”, quali marinai e soldati o di “emarginazione” come per carcerati, malavitosi e prostitute conferendogli nuovamente una connotazione negativa. Negli anni ‘60, ‘70 e diventa invece simbolo di trasgressione e contestazione. Con l’evento della nascita dei più grandi nomi della moda griffata Made in Italy, le loro sfilate portano foto lanciando così, in televisione, nelle migliori riviste, il mito del XXI° secolo, una firma sul proprio corpo “permanente”.
Oggi, spesso associato al body piercing, il tatuaggio non è più oggetto di scandalo sociale ma, anzi, è considerato uno strumento per elevare la potenzialità estetica. Sull’impulso dato dalla pubblicità, è attualmente utilizzato trasversalmente tra persone di tutti i ceti sociali, d’entrambi livelli di cultura, uomini e donne, al solo scopo di rendere il proprio corpo più attraente e diverso personalizzando l'immagine.
Le nuove tecniche si servono di congegni a bobina e rotativi che, oltre ad aver migliorato e ottimizzato la velocità d’esecuzione, hanno in concreto eliminato il dolore e l’aspetto cruento che faceva del tatuaggio una prova di coraggio. Quanto alla motivazione ideologica dei soggetti scelti, spesso è usurpata dall’effetto esclusivamente estetico. È importante però attribuire un motivo reale all’atto del tatuarsi: in fondo si tratta sempre di un segno indelebile, che non può essere facilmente cambiato o rimosso. Suggerisco di legare questa scelta ad un momento importante della propria vita, una persona veramente speciale o ad un “souvenir”legato ad un attimo indimenticabile.
Non esiste probabilmente regione del mondo, dove non sia praticato il tatuaggio, ma sicuramente i popoli e paesi che hanno contribuito maggiormente alla nascita e alla diffusione di quest’arte sono stati:
Il Giappone, (tecnica Irezumi).
I Maori, con il tipico disegno Moko.
L’India, dove nasce anche il famoso Hennè.
La Birmania, con il tipico disegno a Pantalone.
Le tribù del Borneo.
L’antico Messico con la popolazione Maya.
L’America.
La Polinesia con i tipici motivi tribali, maschere, tartarughe e salamandre propiziatorie.
Gli Egiziani.
I Greci.
L’oceania
Le tecniche più diffuse al mondo per tatuare sono principalmente tre: la tecnica Americana, la Giapponese (Irezumi) e la Samoana. Il tatuaggio più caratteristico tra i tribali, è il maori, con il disegno Moko, motivo esclusivo e unico eseguito sul volto di membri adulti nella società Maori.
In questo sito l’artista non pubblica numerose foto dei suoi lavori per motivi di plagio, sono tutti disponibili nel suo ultimo libro o nella sua Accademia.
Maurizio è inoltre consulente tecnico del tribunale di Milano.

Clicca l'immagine per ingrandirla.

Copyright 2011-2015 Maurizio Redolfi Britol